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I fantasmi del passato. La memoria degli anni di piombo nei romanzi di Lidia Ravera

Susanne Kleinert

Résumé

A differenza degli autori che in modo più o meno libero si riferiscono alla cronaca e agli eventi dei movimenti politici radicali degli anni 70 (come p.es. Nanni Balestrini o Giampaolo Spinato), Lidia Ravera utilizza la dimensione della memoria come punto di partenza dei suoi romanzi Voi grandi (1990) e La festa è finita (2002). I due testi prendono le mosse dalla vita presente di ex militanti che si sono più o meno adattati alla realtà sociale e politica degli anni 80 e 90, e che si sono lasciati alle spalle un passato profondamente segnato dai movimenti di estrema sinistra. In questa situazione di apparente tranquillità il passato ritorna in modo traumatizzante nella figura di una ex terrorista ricercata dalla polizia (Voi grandi) e di un ex leader operaista licenziato molti anni fa, pieno di rancori e violento (La festa è finita). Il confronto fra i vari personaggi fa riemergere il problema della violenza, che risulta completamente rimosso in alcune figure, e coperto invece dal sentimentalismo dei ricordi di gioventù in altre. Confrontando le varie interpretazioni del passato e del presente, Lidia Ravera punta soprattutto sull’analisi psicologica dell’influsso che hanno avuto gli anni di piombo sulla sua generazione, un influsso di lunga durata. Il „messaggio“ del testo non sta in una presa di posizione precisa, bensì nel gioco delle prospettive diverse. Fra i vari personaggi sono particolarmente interessanti la ex terrorista che combatte per la sopravvivenza e l’intellettuale di sinistra che ha trovato una sua nicchia nell’insegnamento universitario (Voi grandi), mentre ne La festa è finita l’istanza memorativa viene affidata soprattutto alla figura di una donna ammutolita ma scrivente – simbolo di un contrappeso alla figura dell’intellettuale e artista che si è adattato ai tempi che corrono, ma anche di un contrappeso alla figura dell’operaio emarginato e violento. I due romanzi possono essere interpretati sia come romanzi della commemorazione che come atto di presa di distanza rispetto agli anni di piombo ; nei loro aspetti ironici rappresentano infine anche un’autoriflessione interessante sulla figura dell’intellettuale, un ruolo che la Ravera stessa ricopre nella sua funzione di giornalista.

Texte intégral

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Lidia Ravera, nata nel 1951, definisce il terrorismo degli anni di piombo come il “cadavere nell’armadio della mia generazione”[1]. La scrittrice è molto attenta alle esperienze che la sua generazione ha vissuto nel decennio intercorso fra il Sessantotto e il rapimento di Aldo Moro, come prova la prima parte del suo saggio Né giovani né vecchi (2000)[2], una riflessione basata su interviste, che indaga i diversi modi che vari coetanei hanno adottato per vivere la loro maturità, dopo avere partecipato ad un movimento incentrato in modo forte sulla gioventù e sulla rottura con le norme tradizionali. Tre dei suoi numerosi romanzi, Voi grandi (1990), La festa è finita (2002) e La guerra dei figli (2009)[3], si riferiscono alla rivolta di questi anni e trattano anche il problema della violenza politica. A differenza di testi come Occidente di Ferdinando Camon, Gli invisibili di Nanni Balestrini o Amici e nemici di Giampaolo Spinato[4], non è la strategia più o meno violenta di gruppi di estrema sinistra degli anni Settanta a essere focalizzata in Voi grandi e La festa è finita, bensì i modi diversi di ricordare gli anni di piombo e di sopravvivere a quel periodo di rivolta. La Ravera è tornata sull’argomento a più riprese: dodici anni dopo Voi grandi con la pubblicazione di La festa è finita e, sette anni dopo quest’ultimo romanzo, con La guerra dei figli. Ciò dimostra l’interesse particolare che l’autrice dedica alla memoria degli anni Settanta. Altri romanzi della Ravera trattano piuttosto il tema delle relazioni generazionali e dei ruoli sessuali[5]. Per rilevare meglio le particolarità dei romanzi della Ravera, vorrei innanzitutto confrontarli con gli altri testi già menzionati. I tre testi citati di Camon, Balestrini e Spinato sono tutti ambientati direttamente negli anni di piombo. Camon si dedica ad un’analisi della cosiddetta strategia della tensione dell’estrema destra e commenta in modo piuttosto ironico le azioni politiche dell’operaismo a Padova all’inizio degli anni Settanta. Balestrini tratta l’evoluzione dell’Autonomia attraverso un gruppo di giovani militanti fino alla loro sconfitta nelle carceri avvenuta come conseguenza della loro criminalizzazione e della violenza e dei tradimenti all’interno del movimento autonomista[6]. Spinato scrive un romanzo su due rapimenti paralleli, quello reale di Aldo Moro e un rapimento fittizio di un brigatista dalla parte di estremisti di destra. In modo molto diverso fra loro, questi testi trattano i discorsi politici dell’epoca. Soprattutto i due testi più vicini storicamente agli anni di piombo, Occidente e Gli invisibili, cercano di creare una specie di opinione pubblica alternativa al discorso dei partiti politici del tempo.

La scelta di Lidia Ravera di ambientare negli anni Ottanta e Novanta l’azione di Voi grandi e di La festa è finita indica invece un obiettivo diverso. Con ciò l’attenzione si sposta infatti dal livello degli eventi al livello della memoria degli anni di piombo. Un altro elemento distintivo dei romanzi della Ravera, sempre rispetto ai testi dei tre autori citati, è la loro più marcata finzionalità. Non si tratta infatti di testi documentari o semidocumentari, bensì di romanzi che attribuiscono una grande importanza alla psicologia di pochi personaggi. Ad esempio La guerra dei figli presta molta attenzione in particolare alla psicologia della protagonista Emma, che ha un forte desiderio di libertà personale e vuole cambiare la vita quotidiana distanziandosi al contempo dalla politica violenta del gruppo Prima Linea, al quale aderisce invece la sorella maggiore Maria. A differenza di Voi grandi e La festa è finita, questo romanzo è ambientato direttamente negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta: i suoi quattro capitoli sono dedicati infatti esattamente agli anni 1967, 1977, 1978 e 1981. Anche in questo romanzo ambientato per la maggior parte negli anni di piombo, non sono i discorsi politici dell’epoca ad essere focalizzati, bensì la vita quotidiana con le aspettative dei protagonisti di poter cambiare il modo di vivere acquistando una maggiore libertà rispetto alle convenzioni vigenti. Nel testo non viene tuttavia tematizzato il contrasto esistente fra il periodo delle vicende narrate e il presente dell’istanza commemorativa. Questo contrasto, presente invece nei precedenti Voi grandi e La festa è finita, presenta a nostro avviso una maggiore ambiguità e complessità.

Dato che nella seguente analisi ci interessa soprattutto la prospettiva della memoria del Sessantotto e degli anni di piombo, ci dedicheremo soprattutto ad un’analisi di Voi grandi e di La festa è finita. La mia interpretazione focalizzerà i seguenti tre aspetti:

  • 1. il carattere traumatico del ritorno del passato;
  • 2. il gioco delle prospettive diverse attraverso il quale il testo oscilla tra comprensione e distacco;
  • 3. la critica della figura dell’intellettuale e la riflessione sulla scrittura commemorativa.

Il ritorno inquietante del passato: la vicenda di Voi grandi e di La festa è finita

I tre protagonisti di Voi grandi sono Sergio Teti, un professore di sociologia di una delle università romane, ex militante di un gruppo di estrema sinistra, la sua ex compagna Marianna, una terrorista ricercata dalla polizia e Laura, allieva di Sergio e sua fidanzata. L’azione si concentra in pochi giorni, dal ritorno inaspettato di Marianna alla sua sparizione definitiva e al matrimonio tra Sergio e Laura. Marianna ha lasciato alle sue spalle la politica violenta, senza però pentirsene, e mette in discussione la vita attuale di Sergio, i suoi compromessi con la società degli anni Ottanta e anche il suo progetto di sposarsi con una donna che ha vent’anni meno di lui. Sergio vive il ritorno di Marianna come un incubo, come una minaccia del suo modo di arrangiarsi con la realtà e non riesce a capire quanto debole sia Marianna nonostante il suo carattere aggressivo. Alla fine lui stesso che durante gli anni di piombo si era schierato contro la violenza aggredisce Marianna. Il ritorno sorprendente del passato riveste un carattere inquietante perché provoca una violenza atta a mettere in crisi il concetto che Sergio, intellettuale di sinistra, ha di se stesso.

Il secondo romanzo, La festa è finita, è ambientato a Torino alla fine degli anni Novanta. La protagonista Alexandra Berthollet invita a casa un gruppo di amici, tutti ex militanti di un gruppo di estrema sinistra per festeggiare il ritorno a Torino di Carlo Ronchi, un altro ex membro del gruppo, che nel frattempo è diventato un direttore d’orchestra famoso negli Stati Uniti. Anche in questo romanzo, il ritorno simbolico del passato fa riemergere il problema rimosso della violenza degli anni di piombo. Carlo Ronchi viene rapito da Angelo Cugno, un ex compagno, operaio della FIAT e coinvolto nell’autunno caldo di Torino. Angelo Cugno è diventato un uomo emarginato e pieno di rancore dopo il suo licenziamento nel 1980. Lui accusa Carlo di aver tradito la causa comune e minaccia di ucciderlo per vendicarsi. La figlia di un altro membro del gruppo, commissaria, indaga sul rapimento di Carlo Ronchi. Il gruppo di ex militanti viene caratterizzato attraverso i vari atteggiamenti dei suoi membri rispetto al passato e ad un presente segnato dalla necessità di venire a patti con la società. Alla fine non è Carlo, ma Angelo che muore. Carlo tiene il discorso funebre, nel quale spiega la scelta di Angelo di perseguire un atteggiamento di ribellione infinita.

I due romanzi si riferiscono alla storia dei movimenti di estrema sinistra in modo diverso. Voi grandi ricorda in modo generale la lotta armata degli anni Settanta senza alludere a fatti e date precisi. La festa è finita si riferisce invece all’autunno caldo degli scioperi alla FIAT nel 1969 e all’ondata di licenziamenti del 1980 a Torino: il romanzo non vuole ricostruire i fatti, ma rinvia piuttosto all’atmosfera dell’autunno 1969 e all’influsso che la partecipazione alla rivolta operaia ha sulla vita di singole persone.

Il carattere traumatico del ritorno del passato

Nei due romanzi, il carattere persecutorio dei personaggi che anni prima avevano partecipato all’estremismo operaista o alla lotta armata è molto marcato, ma si tratta di una caratteristica che sviluppa la sua dinamica solo nel rapporto con gli ex compagni che si sono invece integrati nella società. Voi grandi comincia con una descrizione dello sguardo di una donna che scruta il protagonista Sergio, uno sguardo che ha il potere di ferire: “Freddi e attenti, gli occhi della donna si erano posati su di lui con una presunzione chirurgica, pronti ad avventarsi in profondità, a incidere, a mutilare.”[7]

Sergio non è in grado di riconoscere Marianna perché quest’ultima si è fatta un’operazione chirurgica per poter sottrarsi più facilmente alle investigazioni della polizia, ma lo sguardo di Marianna gli causa dei disturbi cardiaci, talmente grande è il disagio che prova guardando negli occhi la sua ex amante. Con il motivo dello sguardo persecutorio, la Ravera ha trovato un mezzo per esprimere allo stesso tempo il carattere di Marianna e il tema della rimozione del passato. Infatti il disagio che sente Sergio non è solo causato dal carattere violento e aggressivo di Marianna, ma anche dal fatto che il ritorno del passato minaccia l’ordine che egli ha trovato nella sua vita presente. Per alcuni versi, Sergio si è formato un ricordo idealizzato del suo passato militante, un ricordo che conserva valori come la solidarietà e la gioventù, ma tende a rimuovere l’aspetto della violenza alla quale erano pronti membri del gruppo come Marianna.

In La festa è finita la figura del ritorno del passato viene rappresentata nel personaggio di Angelo, un personaggio emarginato, aggressivo e mezzo matto. Il rapimento di Carlo eseguito da Angelo rappresenta il confronto fra un passato chiuso nell’atteggiamento di ribellione permanente e un presente aperto, dimentico dei vecchi ideali politici. Come Marianna in Voi grandi, Angelo fa paura perché rappresenta il passato rimasto vivo. Uno dei personaggi secondari chiede ironicamente: “Chi non ha paura dei fantasmi del passato?”[8], accennando così al ruolo inquietante che il passato riveste per chi se n’è congedato. L’aspetto persecutore di Angelo viene rafforzato dalla citazione non marcata come tale di uno degli slogan delle Brigate rosse: “Colpirne uno per punirne cento. Colpirne uno.”[9] Questo slogan viene considerato nel testo come “una litania”[10] priva di connotazione politica, una frase per esprimere il bisogno di vendetta. Possiamo quindi osservare, a questo punto, come il motivo del ritorno fantomatico del passato sia presente in ben due protagonisti dei due romanzi, dal carattere aggressivo e persecutorio, che cercano di far ricordare alle loro vittime il comune passato di militanza politica, creando in loro reazioni di paura e tentativi di difesa. Il passato della militanza e il presente di una vita normale ed integrata non sono conciliabili per i personaggi del romanzo. Questo aspetto di una rottura fra passato e presente si esprime appunto nell’uso di modelli psicologici che indicano il ritorno inquietante di una vicenda rimossa, la quale nel romanzo segnala la propria presenza tramite lo sguardo persecutorio o la violenza, cioè a un livello corporeo pre-linguistico. Solo poco a poco i personaggi cercano di usare il linguaggio per comunicare sul passato e per creare in tal modo una via d’avvicinamento capace di abolire la rottura fra passato e presente.

Nel suo saggio Né giovani né vecchi, Lidia Ravera paragona il fenomeno del terrorismo ad un sipario che ha chiuso la stagione di giovinezza del Sessantotto. Nel descrivere questa rottura storica, impiega anche l’immagine del risveglio per sottolineare l’effetto decisivo che il terrorismo ha avuto sulla sua generazione, un effetto che metteva in dubbio i discorsi politici di quella generazione. Nel passo seguente informa i suoi lettori del fatto che c’erano anche delle vittime della violenza fra gli stessi protagonisti del Sessantotto:

Ci siamo svegliati vent’anni fa, ventidue.
Quando il presidente della Democrazia Cristiana è stato ritrovato morto nel bagagliaio di un’automobile?
Quando un nostro compagno-fratello, maggiore di pochi anni, uno che aveva fondato “La zanzara” per dar fastidio alla scuola, è stato ucciso da altri che, anche loro, avevano avuto a che fare, in qualche modo, con le zanzare e con la scuola?
Ci siamo svegliati di soprassalto, in un bagno di parole di cui, all’improvviso, ci pareva d’aver smarrito il senso. E la nostra è una generazione in cui le parole hanno sempre contato più della musica[11].

La citazione denuncia l’effetto devastante della violenza politica atta a delegittimare la politica della sinistra. Anche qui, la Ravera punta più sugli effetti psicologici traumatici che sulle questioni politiche concrete, quando spiega che la violenza creava un effetto di smarrimento del senso delle parole.

Il gioco delle prospettive diverse e l’oscillazione del testo tra comprensione e distacco

In Voi grandi, la rottura tra passato e presente viene simboleggiata anche attraverso l’immagine dell’operazione chirurgica che ha reso irriconoscibile il viso di Marianna. Ma la scrittura non si limita a constatare che il passato non è più recuperabile, sebbene vengano ironizzati chiaramente i tentativi nostalgici di Sergio di conservare materialmente il passato – perfino le tracce della pallottola che la pistola di Marianna aveva lasciato nel muro della casa prima della sua latitanza. Il romanzo va oltre una presa di distanza semplice dalla lotta armata degli anni Settanta, perché cerca di costruire la prospettiva interna di una donna che dopo aver dedicato alcuni anni alla lotta armata, si ritrova completamente emarginata e senza alcuna prospettiva di vita normale.

In Voi grandi, il gioco delle prospettive diverse domina la struttura del romanzo. Il testo è diviso in tre parti, ciascuna delle quali corrisponde alla prospettiva di uno dei tre protagonisti. Se la prima parte è dedicata alla prospettiva di Sergio, cioè alla sua paura di vedere la sua vita capovolta dall’arrivo inatteso di Marianna, la seconda parte mostra invece il punto di vista di Marianna che avverte come sempre più lontana la possibilità di tornare a Roma, mentre la terza parte è infine dominata dalla prospettiva della giovane Laura, la futura sposa di Sergio. La focalizzazione interna sui sentimenti di Marianna nella seconda parte del romanzo contribuisce a creare un certo effetto di empatia con la ex terrorista, non nel senso di una legittimazione della violenza passata, ma nel senso dell’apprensione di una vita rovinata. Il lettore segue anche la prospettiva ironica attraverso la quale Marianna commenta tra sé e sé i tentativi di Sergio di allontanarla dalla sua vita presente. Per alcuni versi Marianna diventa riconoscibile nei suoi aspetti tragici – i suoi genitori sono morti senza che lei abbia avuto la possibilità di esserne informata, e Marianna scopre di essere rimasta imprigionata in un grottesco spirito d’opposizione contro i genitori mentre la vita (e la morte) hanno reso ridicoli tali atteggiamenti. La Ravera non approfondisce i motivi politici dell’estremismo di sinistra, ma giudica la violenza da un’angolazione per così dire postuma: tramite il personaggio di Marianna fa vedere la sterilità dell’estremismo che dopo la fine dei movimenti politici diventa distruttivo anche in senso psicologico. Marianna, che ha ucciso all’epoca della lotta armata, è anche una figura d’autodistruzione: è cinica, anche contro se stessa, si droga e si prostituisce. È vero che la clandestinità non le permette di avere una vita normale; al contempo viene però caratterizzata anche come una figura psicologicamente incapace di accettare la quotidianità. Nei suoi ricordi la motivazione per la lotta armata si rivela di natura psicologica, non politica, come un gesto per sfuggire alla sensazione di vuoto che risente come caratteristica del mondo che la circonda:

Il vuoto. Lei scappava dal vuoto. Con audacia, serietà e fiducia, rifiutava. I giornali, le balle che raccontavano i giornali. Le opinioni, l’orgia delle opinioni. Il mondo trasudava opinioni. Chi contava se le scambiava al di sopra delle teste di chi non contava. Ed era una ben triste quadriglia, quel ballo di governi ed elezioni. Lei aveva esploso due colpi di pistola contro il vuoto. Che qualcuno fosse morto non la riguardava. Nemici di classe? Nemmeno. Bastava sostituire alla parola giornalista, la parola giornale. Diventava un bersaglio di carta[12]…

Questa citazione dimostra come Lidia Ravera non solo costruisca una motivazione psicologica per la violenza politica, ma accenni anche in modo critico ai meccanismi di autoassoluzione che hanno reso possibili tali atti[13]. Nel contesto del passo citato il personaggio allude anche alla scarcerazione e al reinserimento sociale di ex compagni. In modo indiretto il romanzo rileva quindi la questione della reintegrazione sociale di membri dell’estrema sinistra diventati criminali, senza però dare delle risposte precise a questa questione, cosa che è in sintonia anche con la fine del romanzo: Marianna scompare dalla vita di Sergio senza lasciare tracce, come un fantasma non integrabile in una vita normale, e rimane nella solitudine della vita sempre provvisoria del latitante.

L’approccio psicologico al problema della violenza distingue i romanzi della Ravera da un altro esempio di romanzo che si avvicina agli anni Settanta da una prospettiva di commemorazione, L’amore degli insorti di Stefano Tassinari (2005)[14]. In questo testo, la voce del narratore, che è riuscito a costruirsi una vita normale dopo avere ucciso un uomo durante gli anni Settanta, si difende contro la critica della violenza espressa da una giovane donna, tramite argomenti storici che ricordano gli attentati di destra di quegli anni, e tenta in tal modo di spiegare e di legittimare l’impiego della violenza nei gruppi di estrema sinistra. La Ravera invece sottolinea piuttosto l’aspetto etico spiegando che non si può eludere la conseguenza della violenza, la morte di una persona. Al tentativo di Marianna di legittimarsi spiegando che si trattava di una “guerra”, Sergio oppone il ruolo decisivo dell’aspetto etico, come emerge nel dialogo seguente:

– Era una guerra.
– Ne sei ancora convinta?
– Quello di cui sono convinta adesso non ha importanza.
– Ne ha invece. Il tempo non cancella.
– Il tempo rende tutto molto relativo.
– Tutto, meno la morte. I morti restano morti. E chi li ha uccisi resta un assassino[15].

È interessante vedere come la scrittrice sia consapevole dei meccanismi d’esclusione inerenti a questo giudizio etico, perché fa seguire a questo dialogo la descrizione dello sguardo di Marianna: “Devono guardare così i condannati, i crociati, le donne processate per stregoneria”, creando così una solidarietà con il personaggio, che è invece negata dal contenuto del dialogo precedente. Nel romanzo della Ravera, l’esclusione dell’argomentazione politica del passato è una strategia atta a dare più spessore alle questioni etiche e psicologiche, nelle quali il lettore viene implicato grazie all’avvicendarsi delle prospettive diverse dei personaggi.

In La festa è finita, la presa di distanza dalla figura del ribelle eterno è ancora più marcata se la paragoniamo all’oscillazione fra distanza ed empatia presente in Voi grandi. L’aspetto della follia, presente anche nel personaggio di Marianna, viene rafforzato nella figura di Angelo fino al punto da assumere alcuni elementi caricaturali. Ma nonostante la forte presa di distanza dai suoi atteggiamenti aggressivi e violenti, alla fine del romanzo l’autrice formula un messaggio ambivalente nei suoi riguardi, perché da un lato la sua decisione di attaccarsi al passato viene condannata chiaramente, ma dall’altro lato gli viene attribuito un carattere tragico degno di una certa compassione. Questo messaggio viene messo in bocca a Carlo che tiene l’orazione per il funerale di Angelo, gesto che implica un congedo simbolico dal passato al quale allude anche il titolo del romanzo[16]: la festa iniziata con l’autunno caldo degli scioperi alla FIAT finisce con il funerale di un ex operaio militante.

Nel suo discorso funebre, Carlo critica il rifiuto di Angelo di crearsi un’altra vita e la sua scelta di rimanere in una posizione di negazione:

[...] era un integerrimo e infaticabile militante della disgrazia e del vuoto, si era costruito un covo dove si esercitava a tener vivo il dolore, soffriva con la solerzia e l’impegno che tutti noi mettiamo nel fuggire la sofferenza in tutte le sue forme. Non gli piaceva il vino, ma l’ubriachezza. Non il cibo, ma la fame. L’amore quando diventava assenza. La rivoluzione perché è destinata a fallire, la ribellione perché può essere infinita[17].

L’idea di una presa di distanza da questa posizione negativa in nome dei valori della vita quotidiana appare molto chiara; tuttavia Carlo cerca ugualmente di attribuire un messaggio positivo alla figura di Angelo, un messaggio psicologico non recuperabile in nessun discorso politico, e continua: “Voleva che io mi fermassi e guardassi, almeno per un attimo, nel buio che conclude ogni giornata. Voleva dirmi che non si può ignorare la signoria assoluta della notte, della fine, della morte.” (Ibid.) Il gesto che segue a questo discorso funebre – Carlo suona l’internazionale al violino  viene esplicitato come un gesto di ringraziamento per questa lezione. Le ultime righe del romanzo sottolineano che questo messaggio non si può comunicare attraverso un linguaggio politico: “La voce del violino è così simile alla voce umana, ma così infinitamente più pura che, nell’infuriare di quella bufera nascente, nessuno osa cantare. L’internazionale resta, perciò, senza parole.” (Ibid.)

Dato che il personaggio di Angelo è rivestito di caratteristiche chiaramente negative, questo messaggio finale che lo descrive come una figura tragica può sorprendere il lettore. Perciò bisogna ricordare che Angelo ha un legame simbolico con il cambiamento decisivo della città di Torino, cioè con la scomparsa della classe operaia che viene menzionata da un personaggio secondario[18]. L’emarginazione di Angelo rappresenta quindi non solo il problema della violenza nell’estremismo di sinistra, ma anche l’evoluzione sociale che conduce a una crisi sempre più grande della figura tradizionale dell’operaio industriale. Il ricordo di Angelo relativo al suo primo incontro con Carlo e Alexandra ai cancelli della FIAT alla fine degli anni Sessanta evoca un momento storico nel quale non solo un legame fra intellettuali e operai, ma anche un cambiamento dei modi di vita sembrava possibile; le parole di Carlo di una volta lo ricordano: “… e questa in fondo è la nostra filosofia: vogliamo migliorare la qualità della vita”[19]. Questo ricordo funziona come un’evocazione delle grandi mete del movimento del Sessantotto, uno sfondo storico in marcato contrasto con la situazione di Torino dagli anni Ottanta in poi, che viene descritta nel modo seguente: “La città ostentava la sua grassa indifferenza dopo lo choc del decennio operaio. Si riassestava, ritornava ai suoi rituali di capitalina degradata, perla della padania, sabauda e solenne, nella sua compostezza di strade diritte, di piazze chiuse.”[20]

Mentre gli altri partecipanti del gruppo si sono conformati ad una vita più noiosa[21], Angelo non può dimenticare un passato che per lui è rimasto “un grumo di felicità indigesta” (ibid., p. 197). Al livello collettivo, a questo grumo di felicità indigesta corrisponde ciò che, secondo il commento di Carlo, rimane dopo la sconfitta della classe operaia: “Resta soltanto l’eco di una mitologia.” (Ibid., p. 120)

Se in Voi grandi e La festa è finita, le due figure che rappresentano il lato violento degli anni della rivolta godono di una certa empatia da parte della voce narrativa, benché la violenza in sé venga criticata apertamente, nel romanzo La guerra dei figli manca invece il tentativo di costruire una prospettiva interna al personaggio di Maria che diventa membro di Prima Linea. Forse la scelta della scrittrice di rappresentare direttamente (e non tramite la memoria retrospettiva dei personaggi) il periodo dal 1967 fino ai primi anni Ottanta rese più difficile l’immedesimarsi nella prospettiva della lotta armata; comunque la violenza viene rappresentata quasi esclusivamente dal punto di vista di Emma, la sorella minore che cerca una via propria fino a rompere completamente con sua sorella maggiore Maria nel momento in cui diventa testimone di un attentato e scopre che per motivi etici non può accettare la violenza. Dato che in questo romanzo la vita privata della protagonista è messa in rilievo, una vita alla quale la lotta armata serve da sfondo inquietante, la tematica delle scelte politiche dei vari personaggi durante gli anni di piombo non viene molto approfondita e inoltre la narrazione è meno complessa rispetto agli altri due romanzi per quanto riguarda i punti di vista e le focalizzazioni interne.

La critica della figura dell’intellettuale e la scrittura commemorativa

Le due figure della rivolta, Marianna e Angelo, rimproverano agli altri di aver dimenticato i loro ideali e di essere venuti a patti con una società ingiusta. Angelo per esempio costringe Carlo a ricordarsi del vecchio tema dei conflitti di classe, facendolo ripetere in modo assurdo le parole “Gli operai contro i padroni” (ibid., p. 98) dopo avergli sparato sul piede. Il gioco delle prospettive e il conflitto fra i protagonisti problematizza quindi non solo una questione ideologica (se sia giusto integrarsi oppure opporsi), ma anche la questione di come ricordare gli anni di piombo. Gli antagonisti di Marianna e Angelo, Sergio e Carlo, vengono rappresentati come intellettuali, soprattutto Sergio, un intellettuale marxista. Sergio è una figura che viene ironizzata nel suo modo di ricordare il passato, perché deve fare uno sforzo per poter parlare della violenza, perfino davanti a Marianna. L’ironia si riferisce qui alla rimozione della violenza degli anni di piombo. Dall’altro lato Sergio coltiva la memoria del gruppo estremista come un caro ricordo della propria gioventù e ne trae un sentimento di superiorità rispetto alle azioni politiche dei suoi studenti che giudica innocue; l’ironia del romanzo si rivolge anche contro questo sentimento di superiorità.

In La festa è finita Carlo, l’intellettuale dell’autunno caldo, a metà degli anni Settanta aveva scelto di lasciare la politica per poter dedicarsi a una carriera internazionale di musicista. Diventa cosciente di non aver preso troppo sul serio le sue idee politiche – e nel testo questa leggerezza non viene condannata come una specie di tradimento, ma accettata come uno sviluppo normale dal momento che Carlo non è solo un intellettuale, ma ha anche le caratteristiche di un artista che deve vivere nel presente e non può chiudersi nei ricordi del passato. Carlo considera il tentativo disperato di Angelo di ricordargli le sue posizioni politiche di una volta come una pretesa da respingere energicamente perché non considera le sue idee come vincolanti[22], mentre nella prospettiva di Angelo contribuivano a mettere quest’ultimo in una posizione esistenziale scomoda “né dentro né fuori, lasciato a mezza via da quelli come Carlo”[23]. Angelo richiama quindi Carlo alla sua responsabilità di intellettuale di sinistra che quest’ultimo non sente più. Solo alla fine del romanzo, Carlo si rende conto della differenza esistenziale che già durante gli anni della rivolta esisteva fra studenti ed operai: “Ce li ricordiamo tutti quei giorni. Si pensava al potere, per noi era qualcosa che aveva a che vedere con nostro padre, per Angelo, per quelli come lui, era una rivolta contro il destino.”[24]

I due protagonisti intellettuali Sergio e Carlo rappresentano quindi delle figure che hanno lasciato alle loro spalle le proprie idee di una volta. Il conflitto inerente alla trama del romanzo riguarda non solo la questione della violenza, ma anche quella del diritto di dimenticare e della responsabilità della memoria. In La festa è finita, una serie di figure secondarie rappresenta altri modi di gestire il ricordo degli anni Settanta. Le loro posizioni oscillano fra il cinismo e la malinconia, e così i loro commenti costituiscono una specie di narrazione corale che va dalla nostalgia del passato alla soddisfazione un po’ annoiata di essere riusciti ad integrarsi nella società. L’ironia del romanzo gioca con la divaricazione esistente fra la posizione sociale raggiunta e le vecchie abitudini ideologiche, per esempio nel caso dell’operaio diventato imprenditore, oppure con la discrepanza fra il giovanilismo dei personaggi e la loro età di cinquantenni[25].

In entrambi i romanzi esiste poi una terza voce al di là del conflitto fra l’intellettuale e l’ex militante estremista o terrorista. In Voi grandi è la voce della giovane Laura che si sente completamente lontana dal conflitto e perciò non è in grado di commentarlo da una posizione autorevole. In La festa è finita, si tratta della prospettiva di Alexandra, un tempo ragazza di Carlo. Alexandra si è rifugiata in un silenzio profondo, in una posizione di distacco, durante tutti gli anni che sono seguiti alla fine del rapporto con Carlo. Ma Alexandra è anche la figura che rappresenta la scrittura commemorativa perché conserva tutti i quaderni del suo diario, ed è la figura dell’osservatrice che commenta il rapporto degli altri con il passato nel modo seguente:

Lo spettacolo discreto delle fratture invisibili, i cedimenti morali, i vuoti di memoria, e tutto quel respirare beneducato, alitando sul passato, ciascuno per lustrarsi il suo frammento. Per costruirsi un monumento. Per mostrarlo. Per confrontarlo, per farselo demolire. O ritoccare[26].

La scelta di Alexandra di praticare l’altruismo per evitare di vivere lei stessa rappresenta un simbolo dell’influsso che il passato ha sulle singole vite attuali dei protagonisti. Dato che questo personaggio diventa sempre più consapevole di essere come imprigionato dal passato, è capace di provare empatia per i sentimenti di Angelo, anche se critica la sua fissazione per i conflitti di una volta. La sua posizione si trova fra l’adesione disperata di Angelo al suo passato e la leggerezza con la quale Carlo se ne è congedato. È inoltre un alter ego della scrittrice quando propone la consapevolezza della molteplicità della vita come mezzo per uscire dall’ossessione del passato (ibid., p. 180). Si tratta in quel caso anche di un’autocritica da parte di Alexandra, che diventa cosciente del fatto di non aver cercato abbastanza la comunicazione con gli altri. La sua posizione ambigua fra distacco ed empatia rispecchia l’ambiguità del romanzo stesso che cerca di rendere comprensibili anche gli atteggiamenti estremistici attraverso il gioco delle prospettive diverse, sebbene (come abbiamo osservato) la violenza venga criticata in modo netto.

Quindi nei due romanzi la figura dell’intellettuale non risulta essere la più consapevole. L’intellettuale o ex intellettuale di sinistra appare piuttosto come una figura che si è congedata dal passato, almeno in La festa è finita. Alexandra, la voce più autorevole, invece rappresenta un sapere e una memoria meno intellettualistica e più emotiva: tutto questo viene sottolineato anche attraverso le espressioni che la caratterizzano come una specie di eterna ragazza (non a caso questa espressione costituisce il titolo di un altro romanzo della Ravera) che conserva il passato e si sente come una “prigioniera del tempo”, “una ragazza pietrificata” e “assestata in una parentesi del tempo”[27]. Gli altri membri del gruppo la descrivono come “l’eterea, l’infante cronica” e la paragonano al principe Myshkin, il protagonista dell’Idiota di Dostoievski[28]. È un personaggio che guida anche il lettore attraverso il suo graduale e misurato processo di uscita dall’ossessione del passato senza tuttavia dimenticare coloro che la storia della contrapposizione ha emarginato. È forse significativo che questo ruolo venga attribuito a un personaggio femminile, un personaggio che viene caratterizzato come lontano da tutti i giochi di potere.

La malinconia del personaggio viene espressa già all’inizio del romanzo quando Alexandra scrive nel suo diario: “La coscienza è un imbroglio, meglio perderla.” (Ibid., p. 11) Questa malinconia corrisponde anche all’evocazione della sconfitta della sinistra, un processo che per Alexandra e Carlo si era già profilato a metà degli anni Settanta, con la trasformazione del gruppo in un piccolo partito (ibid., p. 20). Il discorso psicologico inerente al testo cerca di problematizzare quella sconfitta tramite l’intrecciarsi di varie reazioni: la violenza, la dimenticanza, l’assimilazione al presente, il silenzio traumatico. Ma si profila anche una voglia di comprensione e di commemorazione come antidoto al silenzio.

I due testi rappresentano quindi degli esempi interessanti per la valorizzazione della forma romanzo come mezzo per assimilare un passato traumatico. Le ragioni politiche in virtù delle quali una parte dell’estrema sinistra italiana decise di dedicarsi alla violenza politica non vengono approfondite da Lidia Ravera, che lascia questo campo d’indagine agli storici o a scrittori come Nanni Balestrini. I romanzi dell’autrice si concentrano piuttosto nell’analisi psicologica degli atteggiamenti di esponenti della ribellione passata che si dividono fra la rimozione del passato e il reinserimento nella società da un lato e l’emarginazione voluta o sofferta dall’altro lato, sottolineando in questo modo che gli anni Sessanta e Settanta erano anni che avevano un influsso molto forte sulle biografie. Un influsso certamente positivo per sperimentare altri modi di vita[29]: spesso però anche negativo in senso psicologico, perché l’eroismo della rivolta passata impediva di accettare un presente meno drammatico e più portato verso il successo economico individuale. Il tentativo della scrittrice di evitare sentimentalismi conduce ad una riflessione implicita nel romanzo su come commemorare gli anni Sessanta e Settanta, se con l’angoscia di un ritorno del passato violento, la nostalgia del sentimento di festa dell’inizio, l’autocritica verso le posizioni di una volta o il senso della differenza fra passato e presente.

L’approccio psicologico dimostra inoltre che la Ravera come scrittrice affida al romanzo la narrazione di una problematica non rappresentabile in termini di ragionamento intellettualistico, una problematica che sfugge al discorso giornalistico che lei stessa pratica in quanto collaboratrice dell’Unità e di MicroMega. Forse solo il romanzo come testo narrativo è capace di rappresentare al contempo la rabbia e la disperazione, reazione dei ribelli nei romanzi della Ravera, e l’accettazione della differenza tra passato e presente che in modo più o meno cosciente segna l’atteggiamento degli altri personaggi. L’ambiguità prodotta dalla pluralità dei punti di vista inerente ai due romanzi non è a mio avviso un’ambiguità di giudizio etico (dato che comunque la violenza viene criticata senza mezzi termini), bensì un’ambiguità letteraria atta a coinvolgere il lettore nei conflitti dei personaggi. In fin dei conti, la rappresentazione degli anni della rivolta è legata nei romanzi della Ravera al tema del passare del tempo e al tema della memoria: temi classici del romanzo.


[1]. Cfr.[www.lidiaravera.it], a proposito di Voi grandi (consultato in data 18 novembre 2008). Per la genesi di La festa è finita, un romanzo secondo l’affermazione della stessa autrice ispirato al caso Sofri, cfr. Lidia Ravera, Essere scrittore e fare lo scrittore, “Narrativa”, 2001, p. 5-11.

[2]. Lidia Ravera, Né giovani né vecchi, Milano, Mondadori, 2000.

[3]. Id., Voi grandi, Roma, Napoli, Edizioni Theoria, 1990; La festa è finita, Milano, Mondadori, 2002; La guerra dei figli, Milano, Garzanti, 2009.

[4]. Ferdinando Camon, Occidente, Milano, Garzanti, 1975; Nanni Balestrini, Gli invisibili, Milano, Bompiani, 1987; Giampaolo Spinato, Amici e nemici, Roma, Fazi Editore, 2004.

[5]. Cfr. Monica Jansen, L’assenza di moventi in una generazione di mutanti: Ammaniti, Ravera e Vinci alle prove con il male, in Giorni, stagioni, secoli. Le età dell’uomo nella lingua e nella letteratura italiana, a cura di S. Verhulst e N. Vanwelkenhuyzen, Roma, Carocci, 2005, p. 185-206; Hanna Serkowska, Dall’uguaglianza alla differenza e oltre: Romanzi-testimonianza di Lidia Ravera, in Cahiers d’études italiennes, no 7, “Images littéraires de la société contemporaine” (3), a cura di A. Sarrabayrouse e C. Mileschi, Grenoble, Université Stendhal, 2008, p. 149-158.

[6]. Cfr. l’analisi più dettagliata in Susanne Kleinert, Violence politique et sentiment d’irréalité: la représentation des années 70 chez Balestrini, Camon et Vassalli, in The Value of Literature in and after the Seventies: The Case of Italy and France, a cura di M. Jansen e P. Jordão, Utrecht, Igitur, 2006, vol. 1, p. 336-356, cfr. la versione elettronica :

[http://congress70.library.uu.nl], consultato in data 18 novembre 2010.

[7]. Voi grandi, op. cit., p. 12.

[8]. La festa è finita, op. cit., p. 79. Cfr. anche la frase in cui si sostiene che per Carlo “l’incontro con la follia di Angelo contiene la coerenza degli incubi” (Ibid., p. 121).

[9]. Ibid., p. 232.

[10]. Ibid.

[11]. Lidia Ravera, Né giovani né vecchi, p. 156. E possibile che alluda allo scandalo della Zanzara, la rivista del Liceo Parini di Milano, i cui redattori furono processati nel 1966 per avere pubblicato indagini sulla sessualità giovanile (cfr. [http://it.wikipedia.org/wiki/La_zanzara], consultato in data 18 novembre 2010). La citazione rimanda anche ad uno sfondo autobiografico di conoscenza personale di una vittima del terrorismo, elemento che possiamo probabilmente mettere in relazione anche con la reazione della protagonista del romanzo La guerra dei figli di fronte all’attentato terroristico contro il suo amante: si tratta di una reazione di completo distacco, anche nei confronti della propria sorella, membro del gruppo Prima Linea.

[12]. Voi grandi, p. 67.

[13]. Anche in La festa è finita, il meccanismo di autoassoluzione viene criticato nel seguente monologo di Angelo, che si rende conto dei limiti della propria aggressività: “Adesso sai che non hai mai voluto farlo, non hai mai voluto concederti il lusso di uccidere, intendo dire davvero, come a un certo punto hanno fatto certi tipi, anche molto vicini a te, che si vedevano giustizieri, e cancellavano i lineamenti dall’obiettivo da distruggere, un uomo / un target. Certe volte era un magistrato, altre volte un ingegnere, un giornalista, un operaio specializzato. Una guardia delle carceri. Chi non è dei nostri non ha volto. Chi sono “i nostri” non è più troppo chiaro. Tu, quelli come te? E chi sono quelli come te? (La festa è finita, p. 229-230).

[14]. Stefano Tassinari, L’amore degli insorti, Milano, Marco Tropea Editore, 2005.

[15]. Voi grandi, p. 102.

[16]. Per quanto riguarda il titolo del romanzo, cfr. il ricordo di Alexandra di un’assemblea durante l’autunno caldo nel quale Carlo fa applaudire i compagni a un discorso di Angelo: “ed era una festa, un rito pagano che faceva alzare tutti in piedi: l’omaggio al povero” (La festa è finita, p. 113) e la riflessione di Angelo dopo il fracasso del suo rapimento di Carlo: “La festa è finita, finita, finita. Credete che continui in eterno e invece finisce, ogni anno incomincia, ogni anno finisce” (Ibid., p. 231), dove si allude in modo diretto alla festa di Natale e in modo indiretto alla propria biografia e agli anni della rivolta.

[17]. Ibid., p. 277.

[18]. Cfr. “[...] Serena, che porta il discorso sul presente, fornisce a tutti dati interessanti sulla nuova composizione sociale del quartiere San Salvario: magrebini, albanesi, qualche ucraino, marocchini, polacchi, sudanesi, iraniani. “Gli operai non esistono più” dice guardando Nanni, che ha fondato una cooperativa di distribuzione dei giornali e da operaio è diventato imprenditore.” (Ibid., p. 33)

[19]. Queste parole di Carlo interpretano la citazione: “La révolution doit s’arrêter à la perfection du bonheur.” Nel testo non viene marcata come una citazione delle parole di Saint-Just, perciò si riferisce forse piuttosto al titolo della rappresentazione del Théâtre du Soleil della Cartoucherie di Vincennes, 1789. La révolution doit s’arrêter à la perfection du bonheur (1970), un dramma sulla rivoluzione del 1789, ispirato dallo spirito del Sessantotto.

[20]. La festa è finita, p. 198.

[21]. Cfr. il commento di Alexandra sull’incontro del gruppo: “Discorsi piccoli, piccoli programmi, l’incedere claudicante della conversazione fra simili [...] Dunque la vita è così inconsistente, è questo tracciato instabile e monotono, un percorso fra punti sempre uguali: nascite, malattie, morti, matrimoni. Morti soprattutto.” (Ibid., p. 35).

[22]. Cfr. il dialogo tra Angelo e Carlo, ibid., p. 126-130.

[23]. Ibid., p. 230.

[24]. Ibid., p. 276. Nel contesto viene sottolineato il carattere esemplare di Angelo come lavoratore di origine meridionale. Qui si tratta di una parallelismo con il protagonista di Vogliamo tutto di Nanni Balestrini (Milano, Feltrinelli, 1971), un testo che per la scrittura e l’atmosfera è del resto molto diverso dal tono spesso malinconico o ironico del romanzo della Ravera.

[25]. Cfr. per esempio commenti come il seguente: “Paolo assume un tono da politico (è assessore alla cultura, l’unico che abbia messo a frutto quegli anni di apprendistato alla demagogia)” (Ibid., p. 28); oppure la scena dell’incontro di tre ex membri del gruppo (p. 77-88); o ancora l’ironia feroce della figlia dell’ex leader Massimo contro suo padre: “È sempre lì, a cavallo della sua delusione, ma eretto come un generale. Continua a essere presuntuoso, superbo della sua presunzione, misogino, sprezzante” (p. 110). L’autrice stessa sottolinea l’aspetto critico del romanzo, commentandolo con le seguenti parole: un testo “dove liquido senza pietà gli ex sognatori di un mondo migliore. Le loro presenti pigrizie, memorie, vigliaccherie” ([www.lidiaravera.it], citato). Questo giudizio però mi pare troppo riduttivo se pensiamo alle varie prospettive che nel loro insieme non permettono di parlare di una presa di posizione univoca.

[26]. La festa è finita, p. 180-181.

[27]. Cfr. le prime due citazioni, ibid., p. 22, la terza p. 34.

[28]. Cfr. ibid., p. 79 e “una borderline, una specie di principe Myshkin” (p. 81).

[29]. Questo tema viene sviluppato in modo più ampio nel romanzo La guerra dei figli che si sofferma a lungo sul processo di una presa di distanza dai valori rappresentati dalla generazione dei genitori. L’amore libero, la vita nelle comuni, l’interesse per la cultura pop sono cambiamenti dello stile di vita quotidiana che vengono messi in contrasto marcato con la lotta armata e con i suoi ideologismi.


Citer cet article :

Susanne Kleinert, « I fantasmi del passato. La memoria degli anni
di piombo nei romanzi di Lidia Ravera », colloque Littérature et "temps des révoltes" (Italie, 1967-1980), 27, 28 et 29 novembre 2009, Lyon, ENS LSH, 2009, http://colloque-temps-revoltes.ens-lsh.fr/spip.php?article69