Vous êtes ici : Accueil > Programme

Brigatisti di carta : realtà e finzione nella P38, “il romanzo delle Brigate Rosse”

Andrea Hajek

Résumé

Lo scopo di questo intervento è di stabilire il rapporto tra realtà e finzione, così come esso si presenta in un romanzo uscito nel 2007, dal titolo La compagna P38. Il romanzo delle Brigate Rosse (Newton Compton). Il libro racconta la storia di un ragazzo che decide di entrare nelle Brigate Rosse, la famigerata organizzazione terroristica di estrema sinistra attiva negli anni ’70, i cosiddetti ‘anni di piombo’. Tuttavia, questa non è un’opera autobiografica e lo scrittore, il giovane romano Dario Morgante, non ha potuto ricorrere a una memoria diretta degli eventi raccontati. Nonostante ciò, il libro pretende descrivere - da un punto di vista retrospettivo e mediante una memoria indiretta - l’esperienza personale del brigatista negli anni di piombo. Di conseguenza, alcune domande sorgono sul rapporto e l’interazione tra realtà e finzione : in primo luogo, come l’autore cerca di rendere credibile la sua ricostruzione fittizia dei fatti storici narrati ? In secondo luogo, fino a che punto questa ricostruzione rispecchia l’esperienza brigatista così com’è stata descritta nelle autobiografie degli ex-brigatisti stessi ?

Texte intégral

PDF - 56 ko

Nell’anno del trentesimo anniversario dell’omicidio di Aldo Moro, le librerie si sono affollate di nuove pubblicazioni sull’evento che ha forse più di tutto determinato la memoria collettiva degli “anni di piombo”. È proprio nel giorno in cui Moro fu rapito che inizia La compagna P38. Il romanzo delle Brigate Rosse (2007) di Dario Morgante (1971). Un romanzo dal titolo un po’ presuntoso, se si considera il fatto che l’autore ha potuto ricorrere solo in parte a una memoria personale e diretta di quegli anni, non essendo stato brigatista né avendo in qualche altro modo partecipato agli eventi descritti. Di conseguenza, la sua è soprattutto una memoria esterna, costruita in base a quello che ha trovato sui vari libri che raccontano la storia del terrorismo rosso nell’Italia degli anni Settanta[1]. Tuttavia il romanzo è stato gradito proprio per la sua capacità di descrivere, in modo autentico, la vita e le lotte dei brigatisti[2]. Una prima domanda che sorge allora è come l’autore (ri)costruisce la sua memoria degli anni di piombo. In che modo egli cerca di rendere credibile la sua ricostruzione fittizia dei fatti storici ? In secondo luogo, quali sono gli aspetti romanticizzati – o letterari – del romanzo, e fino a che punto esso rispecchia l’esperienza brigatista così com’è stata esposta nei testi scritti dagli ex-brigatisti stessi?

Lo scopo principale di questa analisi è dunque di stabilire il rapporto tra realtà e finzione nel romanzo di Morgante. Per stabilire questo rapporto, bisogna partire dalle Brigate Rosse stesse. Nella prima parte di questo articolo vi presenteremo allora un breve quadro storico dell’organizzazione, che però non pretende di essere completo o esaustivo: un’analisi profonda delle Brigate Rosse richiederebbe una ricerca in sé. Inoltre, lo scopo di questo articolo non è quello di spiegare che cosa volevano le Brigate Rosse, ma di analizzare in che forma la lacuna lasciata dalla storiografia italiana in quanto i fatti storici riguardanti il terrorismo rosso non sono ancora stati presi in considerazione in modo professionale e imparziale, viene riempita da altri modi di comunicare la storia, in questo caso la narrativa. In effetti, studi recenti hanno dimostrato il carattere riduttivo e a volte fuorviante dei libri e manuali di storia utilizzati nelle scuole ma anche nelle università, per quanto riguarda la descrizione degli anni Settanta, ridotti solitamente alla stereotipica immagine violenta degli “anni di piombo”[3]. In più, dei due terrorismi che si potrebbero distinguere in quegli anni, quello di sinistra o “rosso” da un lato, e quello “nero” – chiamato anche stragismo – dall’altro, il terrorismo più analizzato in questi manuali è quello di estrema sinistra (Venturoli, 2007, p. 241). Se consideriamo poi l’enorme ruolo dei media nella costruzione di memorie collettive a partire almeno dagli anni Sessanta, che indubbiamente hanno contribuito a diffondere la suddetta immagine degli anni Settanta, si potrebbe constatare che non esiste (ancora) una storia più o meno obiettiva e comunemente accettata di quegli anni, in Italia. È chiaro che nessuna storia può mai essere completamente obiettiva, e che la storiografia è sempre caratterizzata da un forte componente selettivo e interpretativo. Tuttavia, in questo particolare caso le interpretazioni finora date di quell’epoca lasciano molto a desiderare, così come gli esiti dei processi contro i presunti autori di stragi come quella di Piazza Fontana nel 1969, per nominarne solo una[4]. L’enorme dissenso che caratterizza questa epoca si è di conseguenza tradotto in una storia parziale e incompleta, una lacuna riempita da altri che così si assumono il ruolo di storiografo. Lo scopo di questo articolo è quindi di analizzare come Morgante cerca di rispondere a questa lacuna.

L’articolo consiste in tre parti: nella prima parte presenteremo un breve quadro storico delle Brigate Rosse, seguito da un’analisi del modo in cui i brigatisti stessi hanno – finita la loro “carriera” terrorista – descritto la loro esperienza, in base ad una tesi di dottorato pubblicata nel 2006 che tratta delle rappresentazioni sociali e autobiografiche dei brigatisti rossi[5]. Infine, daremo una lettura del romanzo dove cercheremo di rispondere alle domande poste prima.

Breve quadro storico delle Brigate Rosse

Le Brigate Rosse nascono nella seconda metà del 1970, in seguito ad una serie di incontri dove i vari gruppi rivoluzionari dell’epoca si confrontarono sull’uso della lotta armata nell’offensiva allo Stato. Il clima di tensione provocato da incidenti come l’attentato in Piazza Fontana rafforzò la diffidenza di molti giovani rispetto allo stato e ai partiti politici tradizionali, incluso il PCI.

Si possono distinguere due fasi nella storia delle Brigate Rosse: le azioni dei primi quattro anni si limitarono all’ambiente industriale milanese e furono soprattutto simboliche, mirate a colpire dirigenti di aziende o del personale. Intorno al 1974 le Brigate Rosse abbandonarono questa cosiddetta “logica fabbrichista” e portarono le lotte ad un livello più alto, dove l’obiettivo principale diventava lo Stato. In questo periodo la direzione delle Brigate Rosse cade nelle mani di Mario Moretti, con cui le azioni prenderanno un carattere più aggressivo e militare. Nascono inoltre nuove colonne, tra l’altro a Roma, dove nel 1978 Moretti condurrà le Brigate Rosse verso la loro missione più clamorosa e dibattuta, il sequestro di Aldo Moro. Dibattuto anche dai brigatisti stessi: in effetti, l’esito finale del sequestro, cioè l’omicidio dello statista, provocò una rottura all’interno dell’organizzazione che s’indebolì sempre di più.

Infine, un calo generale di impegno politico tra i giovani, così come una nuova offensiva antiterrorista nei primi anni Ottanta, il cui successo fu in gran parte dovuto alla famosa legge sui cosidetti pentiti, portò all’arresto della maggior parte dei brigatisti rimasti.

Brigatisti narratori

I primi testi scritti sui brigatisti rossi sono alcune biografie pubblicate dalla fine degli anni Settanta in poi. Tiziana Serafini dimostrò, nella sua tesi, come questi testi miravano principalmente a spiegare al lettore la scelta delle armi da parte dei brigatisti[6]. Inoltre, l’attenzione che le biografie dettero al contesto sociale e storico del tempo le permise di dare un’immagine più umana e complessa del terrorista, assai diversa dalle rappresentazioni piuttosto spettacolari dei mass media, che raramente si soffermarono sulla motivazione politica dei brigatisti.

L’esperienza brigatista è stata però soprattutto esposta tramite autobiografie e libri-interviste, dove gli ex-brigatisti stessi hanno cercato di spiegare al pubblico le loro ragioni politiche, usando questa volta un mezzo di comunicazione nuovo, la scrittura[7]. Serafini ha dimostrato che gli ex-brigatisti cercano, in questi libri, di ristabilire la “propria verità contro quella raccontata dai mass media o dalle istituzioni” (Serafini, 2006, p. 112), e di proporre al pubblico una nuova identità in contrapposizione a quella passata, sbagliata e rinnegata. Nello stesso tempo, però, essi cercano anche di rifondare un “identità collettiva positiva” delle Brigate Rosse.

Serafini ha poi evidenziato sette tappe o fasi comuni all’interno di questi testi, che voremmo brevemente esporre: in primo luogo, la vita adolescenziale del protagonista, prima della sua entrata dentro le Brigate Rosse. Tali descrizioni servono a confutare le bugie dei giornali sulle radici della presunta pazzia del terrorista, anche se alcuni non parlano assai di questa parte della loro vita. Quasi tutte le narrazioni cominciano comunque con un episodio della lotta armata, come per avvertire il lettore che si tratta di una storia di militanza.

La seconda tappa descrive l’entrata nella politica. Qui gli autori cercano di mostrare la gradualità del processo che li ha portati alla militanza politica, rendendo comprensibile al lettore la loro scelta delle armi. All’entrata nella politica segue il salto in clandestinità, che implica un rito con valenze liberatorie, cioè la distruzione dell’identità che gli si è stata imposta dalla società contro la quale ci si ribella. Questo rito viene però spesso contrapposto ad un nuovo rito di rientro in società, alla fine del testo, espresso ad esempio dal pentimento o dalla dissociazione.

La quarta tappa è l’uso della violenza, dove gli ex-brigatisti cercano di dimostrare un senso di shock e di umanità. Il lato umano prevale anche nella descrizione della quinta tappa, l’arresto, che per molti è un momento traumatico e fonte di una profonda sofferenza personale. La sesta tappa è quella della crisi, dove l’ex-brigatista si rende conto del suo fallimento e errore, e inizia un nuovo percorso individuale. Questo implica una negazione della propria identità brigatista, che renderà possibile un rientro nella società, l’ultima tappa descritta da Serafini, e che viene espresso nell’atto pubblico della stesura dell’autobiografia stessa.

Infine, alcuni hanno anche scritto dei veri e propri romanzi, dove essi propongono la propria versione della storia. Il romanzo di Morgante, in questa ottica, è interessante, visto la sua posizione esterna agli eventi descritti, e nella parte seguente vedremo come esattamente egli ha ricostruito la sua storia delle Brigate Rosse.

Dario Morgante, La Compagna P38. Il romanzo delle Brigate Rosse (2007)

Riassunto del libro

La compagna P38 racconta la storia di Ermes, un giovane abitante del quartiere di Primavalle a Roma, un cosiddetto “cane sciolto” che ogni tanto partecipa ad un’occupazione o a una manifestazione politica, ma niente di più. Il romanzo inizia nel 1978, quando Ermes – durante una delle solite cariche della polizia – trova una vecchia pistola, la P38, mentre si sta nascondendo dalla polizia in un’armeria. Affascinato dall’oggetto, decide di tenerlo, come se sapessi che un giorno gli sarebbe stata utile. Non si sbaglia, visto che poco tempo dopo, Ermes verrà avvicinato da un membro delle Brigate Rosse, e decide di entrare dentro l’organizzazione, insieme al fratello Breda.

La seconda e terza parte del romanzo, che coprono il periodo tra il 1979 e il 1980, raccontano la maturazione di Ermes all’interno della colonna romana di Primavalle. Dal 1981 in poi la situazione diventa più pesante: i tempi cambiano, ci sono conflitti all’interno dell’organizzazione, e molti brigatisti vengono traditi dai pentiti. E’ proprio il fratello di Ermes che, alla fine del romanzo, si rivela essere il pentito che ha tradito tutta la colonna di Primavalle, eliminata dalle forze antiterroriste del generale Cattedrale. Segue un confronto difficile ed emozionante tra i due fratelli, dove Ermes si vendicherà dei suoi compagni morti, prima di lasciare il paese e buttarsi su una nuova carriera nel traffico internazionale di armi.

Periodizzazione

Il riferimento alla P38, nel titolo, è molto suggestivo, rievocando una delle immagini più stereotipiche degli anni di piombo, e come vedremo avanti, non è affatto quello il messaggio che lo scrittore vuole trasmettere. La scelta del sottotitolo “romanzo delle Brigate Rosse” è un po’ paradossale, visto che il romanzo copre solo la seconda fase delle Brigate Rosse, gli anni tra il 1978 e il 1982. Sono gli anni dell’attacco allo stato: gli anni più violenti, insomma, ma anche quelli del declino. Un periodo che – in generale – viene trascurato dai media, e in effetti, la maggior parte della documentazione sulle Brigate Rosse si ferma al rapimento Moro nel 1978, il punto di partenza della P38. Morgante, invece, sceglie proprio questo periodo, una scelta che si spiega possibilmente dalla sua volontà di dimostrare come anche in questo periodo estremamente violento i terroristi sono sempre degli uomini che lottano per una società diversa. Questo è ad esempio molto esplicito nella chiara offensiva dei brigatisti fittizi al problema della droga, un elemento inventato che non coincide con il progetto reale di quegli anni, concentrato piuttosto sull’attacco allo Stato incarnato da giornalisti, politici, giudici, ecc. Morgante sembra allora giustificare la violenza agita dai brigatisti in questi anni da un progetto nobile e giusto, cioè la lotta contro la droga, contrapponendosi allora alla memoria collettiva dominante che li considera solo assassini, riprendendo inoltre il progetto dei brigatisti stessi che – nei loro libri – s’impegnavano a sostituire la solita immagine violenta promossa dai media, da un’immagine più umana.

Fatti storici “romanticizzati”

Per dare una certa base storica al suo romanzo, Morgante ha inserito alcuni fatti storici che vorremmo brevemente esporrere. Prima di tutto, ovviamente, il rapimento di Moro, da cui parte il libro. Tuttavia, l’accento nel capitolo in questione è su un altro incidente contemporaneo, cioè lo sgombero di alcune case occupate che viene interrotto dalla notizia del rapimento. Quindi – ironicamente – è Moro stesso che salva gli occupanti. Anche la sua morte, il 9 maggio, viene accennato solo di sfuggita, in un capitolo che si svolge tre giorni dopo e dove ancora una volta l’enfasi è stata spostata ad una manifestazione in commemorazione della morte violenta di una studentessa di sinistra, Giorgiana Masi, un anno prima. Anche qui Morgante si oppone dunque alla memoria collettiva dominante, dando più valore alla morte di questa studentessa, forse per colpa della polizia, che all’omicidio di un importante uomo di Stato da parte delle Brigate Rosse.

Altri incidenti avvenuti nella realtà e ripresi nel libro includono la strage di Bologna (il 2 agosto 1980) e il sequestro di Giovanni D’Urso (12 dicembre 1980), anche questi accennati solo di sfuggita e sullo sfondo della trama narrativa principale. Notiamo poi la presenza della banda della Magliana nel romanzo, un’organizzazione criminale reale di cui parla anche un altro romanzo che sposa realtà e finzione, il Romanzo criminale di Giancarlo De Cataldo, e una certa influenza soprattutto dell’omonimo film non è da escludere. Di nuovo il problema della droga salta fuori visto che nel libro di Morgante la Magliana, attiva soprattutto nel traffico di droga, viene combattuta e eleminata dai brigatisti della colonna Primavalle, che – come abbiamo visto – hanno dichiarato guerra al problema della droga.

Per quanto riguarda riferimenti indiretti a eventi accaduti nella realtà, ci sono due incidenti che meritano particolare attenzione. In primo luogo, l’uccisione di un importante agente dell’antiterrorismo, il generale Cattedrale, che ricorda fortemente il generale Dalla Chiesa, responsabile della dura offensiva antiterrorista in quegli anni e che fu ucciso proprio nel giorno in cui muore il personaggio di Morgante. In secondo luogo, la sorprendente uccisione di un operaio e sindacalista, Guido Rossa, per aver denunciato un operaio che distribuiva volantini in fabbrica. Nel libro, un caso simile avviene quando un professore, iscritto al PCI ma che ha denunciato uno studente che distribuiva volantini in facoltà, viene giustiziato dai brigatisti.

Oltre a riferimenti a vittime, Morgante fa figurare anche alcuni brigatisti esistenti. La coppia Vale e Primo ad esempio sembra stata modellata sulla coppia Mara Cagol e Renato Curcio, due dei fondatori delle Brigate Rosse: Primo e Renato sono entrambi arrestati e incarcerati. Tuttavia l’impotenza di Vale rispetto alla situazione carceraria del suo compagno Primo la distingue molto dalla Cagol, famosa per aver liberato il marito durante un’operazione spettacolare. Nel caso del fratello del protagonista il richiamo è ancora più limpido: Breda rappresenta senz’altro l’ex-brigatista pentito Patrizio Peci, il cui fratello Roberto fu ucciso per vendetta dalle Brigate Rosse. Qui la realtà viene però ribaltata, visto che Ermes non verrà ucciso, ma è invece lui stesso che uccide il fratello traditore.

Il momento massimo dell’incontro tra realtà e finzione avviene tuttavia nella diretta messa in scena di Mario Moretti, leader delle Brigate Rosse nel periodo descritto da Morgante. Si nota come il protagonista esprime una grande affascinazione e soprattutto rispetto per Moretti. Lo vede come un professore e un padre: “Mi sembra di essere tornato a scuola, a fare scena muta di fronte al professore” (p. 131); “Eccoci qua, io e Moretti a parlare di donne, lui seduto sulla panchina, io in piedi come un figlio sbruffone” (p. 132). Morgante gli ha dato inoltre alcuni tratti che coincidono con la sua immagine da guerriero: indossa ad esempio vestiti militari, e parla della rivoluzione come di una guerra. È proprio questa visione però che viene contrapposta dall’idea che vuole proporre Morgante della rivoluzione, cioè l’idea di una rivoluzione a livello locale, dove si lotta soprattutto contro la droga, uno dei problemi più grandi e gravi delle generazioni seguenti: “La rivoluzione va portata nelle strade. Bisogna dare al proletariato degli stimoli, dei messaggi chiari, forti. L’eroina, per esempio. Si sta bruciando un’intera generazione. Partiamo da lì, attaccare lo spaccio è attaccare lo Stato.” (p. 131)

Altri modi in cui Morgante ha cercato di rendere più realista la sua narrazione consistono nella presentazione concreta delle Brigate Rosse e delle loro azioni: descrive ad esempio i tipi di armi che si usano, e le varie operazioni che si fanno, tra cui gli espropri, le gambizzazioni e gli incendi di macchina – anche se questi, storicamente, avvenivano piuttosto nella prima metà degli anni Settanta, e non nel periodo descritto da Morgante. Dei vari sequestri, invece, non c’è nessuna traccia. Anche il linguaggio usato durante le liquidazioni rieccheggia lo stile usato dai brigatisti “veri” nelle loro comunicazioni, come nel brano seguente: “ ‘Romano Staperini’, dico, “il tribunale del popolo ti ha processato per aver sfruttato i proletari per anni, per esserti arricchito alle spalle del popolo e per aver militato nella Democrazia Cristiana, al soldo della NATO e dello Stato Imperialista delle Multinazionali.’ ”(p. 96)

Il tentativo più importante di rendere il romanzo più realista, però, riguarda le descrizioni delle emozioni dei brigatisti. Nella frase seguente, soprattutto, l’immagine stereotipica evocata all’inizio dell’articolo viene ribaltata e presentata da tutt’un altro punto di vista: “Anche se Primo ha detto che è una stronzata, reggo lo stesso la pistola con tutte e due le mani, per evitare di far vedere che sto tremando.” (p. 103)

Infine, Morgante include una serie di riferimenti ai media: una notizia sentita sulla radio, ad esempio, la testata di un giornale, le immagini di un telegiornale, e soprattutto molti slogan e graffiti. Anche il contesto culturale viene evocato, e i vari riferimenti a programmi televisivi, canzoni e cantanti dell’epoca aiutano a ricreare l’atmosfera di quegli anni, così come l’inserimento di alcuni temi ricorrenti che riguardano situazioni reali, fra cui il problema delle case sfitte, la vita carceraria, il pentitismo e il problema della droga.

Aspetti letterari

È soprattutto l’elaborazione di questi temi e del loro impatto sulla vita personale dei brigatisti che fornisce una delle trame narrative del romanzo. La storia d’amore tra il protagonista e Vale ad esempio è intrecciata con le violenti operazioni terroriste, e prende a volte il sopravvento. La dolorosa comunicazione tra Vale e il suo compagno incarcerato Primo è un altro elemento che sposta l’accento dai fatti storici all’esperienza personale e romanticizzata dei terroristi. La vicenda tragica del tradimento del fratello pentito, infine, costituisce forse il momento più alto di interazione tra privato e pubblico.

Per quanto riguarda la struttura, il romanzo sembra fondersi sul modello del Bildungsroman, soprattutto nella descrizione del percorso del giovane protagonista da “cane sciolto” a terrorista senza pietà. Inoltre, Morgante usa alcuni fatti storici per rafforzare questa struttura e per dargli un significato più profondo: l’entrata del protagonista nelle Brigate Rosse, all’inizio del romanzo, viene ad esempio affiancata dalla sconfitta della squadra italiana nei mondiali di calcio del giugno 1978. Il suo ultimo atto da brigatista, invece, cioè la vendetta del fratello pentito, viene intrecciata questa volta con la vittoria dell’Italia nei mondiali del 1982. L’ascesa delle Brigate Rosse viene dunque in un certo senso legata alla sconfitta dell’Italia, mentre il loro declino è metafora della vittoria del paese, che in questi anni inizia in effetti a riprendersi dagli anni di piombo.

La suspense, infine, ad esempio quando il tradimento del fratello viene rivelato solo quando lo saprà il protagonista, attraverso i quali occhi il lettore segue la storia, porta la P38 anche vicino al genere del noir.

Gli echi degli ex-brigatisti

L’aspetto forse più interessante di questo libro, però, riguarda il modo in cui l’autore è riuscito a far riecheggiare le esperienze degli ex-brigatisti nel testo. Morgante ha ad esempio inserito alcuni riferimenti al cosidetto “filo rosso”, cioè la giustificazione che molti ex-brigatisti danno, nei loro testi, della scelta degli armi, tramite l’identificazione con la lotta dei partigiani: “Ogni posto è pericoloso. Ogni luogo mortale. Ogni amico sospetto. La citta dovrebbe essere come la montagna per i partigiani.” (p. 209)

Per quanto riguarda le sette tappe identificate da Serafini, invece, si nota che Morgante non segue il modello della maggior parte dei testi scritti dagli ex-brigatisti. Anche se il romanzo inizia con un episodio di lotta sociale, cioè la scena dello sgombero di case, non c’è nessun riferimento al percorso precedente del protagonista. E’ come se la sua rappresentazione iniziale in quanto cane sciolto basta per far capire da dove viene la sua spinta alla lotta armata. La scelta dell’entrata nella politica non viene nemmeno spiegata, e sembra piuttosto confluire dalla scoperta casuale della pistola nell’armeria. Pochi riferimenti anche alla terza tappa, il salto in clandestinità: il protagonista tiene il suo vero nome, ad esempio, e continua a frequentare lo stesso bar, insieme ai compagni. Non perde dunque la propria identità, una sensazione che era molto forte tra gli ex-brigatisti.

La violenza, invece, è predominante, come ci si potrebbe aspettare da un romanzo intitolato la P38. Tuttavia, essa è accostata da un forte senso di umanità che riecheggia l’esperienza come è stata descritta dagli ex-brigatisti. E’ molto esplicito, soprattutto, lo sviluppo graduale del protagonista da ragazzo inesperto e pauroso a brigatista audace e spietato, che prenderà addirittura la responsabilità di giustiziare il proprio fratello pentito. Le prime azioni ad esempio si limitano a volantinaggi e incendi di macchina, dove l’enfasi è sull’effetto emozionale personale delle azioni. Al primo confronto con una guardia, leggiamo come “[i]l cuore evita un paio di battiti, e fa scena muta” (p. 76). Alcune “vittime” riescono addirittura ad avere la meglio sul nostro aspirante brigatista: “Ho le sue mani attorno al collo. Soffoco ma non riesco a liberarmi” (p. 84). Pian piano egli cresce, passa ad azioni più aggressive come le gambizzazioni ma rimane tuttavia incerto di sé: “Gli sparo due colpi nelle gambe. Mi rendo conto di aver chiuso gli occhi nel momento dello sparo” (p. 96). Infine, Ermes arriverà comunque a uccidere senza reticenze: “Miro alla testa e sparo” (p. 145)

Per quanto riguarda le ultime fasi descritte da Serafini, quelle dell’arresto, la crisi e il rientro nella società, questi sono quasi del tutto assenti. Solo l’esperienza del carcere viene accennata tramite la vicenda del compagno incarcerato Primo.

Conclusione

Per riassumere, potremmo dire che nella P38 i vari elementi narrativi, cioè le trame romanticizzate, la struttura, la suspense, ecc., vengono accostati da una forte componente realistica, tra cui i riferimenti diretti e indiretti sia ad eventi storici che a persone esistenti, la descrizione più o meno autentica del modo di lavorare dei brigatisti e i riferimenti al clima culturale e sociale dell’epoca.

L’esperienza così com’è stata descritta dagli ex-brigatisti stessi invece risuona prima di tutto nell’analisi di situazioni come la separazione dolorosa di coppie o il tradimento dei pentiti, che rispecchiano alcuni temi che ritroviamo anche nei testi degli ex-brigatisti. L’esperienza brigatista si rispecchia però soprattutto nelle descrizioni del lato umano ed emozionale dei terroristi, cioè il graduale incremento di uso della violenza da parte del protagonista. Questo accostamento tra violenza, simbolizzato dall’immagine stessa della P38, da un lato, e l’umanità dei brigatisti dall’altro, potrebbe essere interpretato come un tentativo dell’autore di creare un’altra storia delle Brigate Rosse di quegli anni: una storia non di assassini senza coscienza e pietà, ma di ragazzi semplici che vogliono solo difendere il loro quartiere dagli spacciatori che stanno rovinando la loro generazione. Questo è chiaramente un elemento fittizio inventato da Morgante che, nato e cresciuto proprio nel quartiere di Primavalle a Roma, così vuole forse proporre una direzione più “giusta”... ? La P38 non è dunque semplicemente una storia delle Brigate Rosse, ma la storia, o appunto, il romanzo di una brigata immaginaria.

Bibliografia

Agostini P., 1980, Mara Cagol. Una donna nelle prime Brigate Rosse, Venezia, Edito da Marsilio.

Belpoliti M., Canova G. e Chiodi S. (a cura di), 2007, Annisettanta. Il decennio lungo del secolo breve, Milano, Skira.

Bianconi G., 2003, Mi dichiaro prigioniero politico. Storie delle Brigate rosse, Torino, Einaudi.

Brigate Rosse: [http://www.brigaterosse.org/].

Cento Bull A., , 2007, Italian Neofascism. The Strategy of Tension and the Politics of Nonreconciliation, New York, Oxford, Berghahn Books.

Curcio R.,1993, A viso aperto, Milano, Mondadori.

Franceschini A., 1988, Mara, Renato ed io, Milano, Mondadori.

Manzini G., 1978, Indagine su un brigatista rosso. La storia di Walter Alasia, Torino, Einaudi.

Mazzocchi G., 1994, Nell’anno della tigre. Storia di Adriana Faranda, Milano, Baldini & Castoldi Dalai.

Moretti M., 1994, Brigate Rosse. Una storia italiana, Milano, Mondadori, 1994.

Morgante D., 2007, La compagna P38. Il romanzo delle Brigate Rosse, Roma, Newton Compton.

— Blog Una sconfitta implaccabile:

[http://unasconfittaimplacabile.splinder.com/]

Morucci V., 2004, La peggio gioventù. Una vita nella lotta armata, Milano, Rizzoli.

Paolin D., 2008, Una tragedia negata. Il racconto degli anni di piombo nella narrative italiana, Nuoro, Il Maestrale.

Peci P., 1983, Io, l’infame, Milano, Mondadori.

Serafini T., 2006, Dagli anni di piombo agli anni di carta: rappresentazioni sociali e autobiografiche dei brigatisti rossi, Tesi di dottorato, University of Warwick.

Tolomelli M., 2006, Terrorismo e società. Il pubblico dibattito in Italia e in Germania negli anni Settanta, Bologna, Il Mulino.

Venturoli C., Stragi fra memoria e storia, Bologna, Libreria Bonomo editrice, 2007.


[1] L’autore stesso ha confermato, in una e-mail, di aver consultato una serie di saggi e romanzi scritti su e da brigatisti.

[2] Veda alcuni commenti sul sito dell’internet bookshop ibs.it:

[http://www.ibs.it/code/9788854109148/morgante-dario/compagna-p38].

[3] Veda ad esempio Venturoli, 2007.

[4] In un saggio di Anna Cento Bull, sulla strategia della tensione e lo stragismo in Italia, diventa chiaro come i processi dei vari stragi accaduti in Italia in quegli anni non hanno portato in quasi nessun caso ad una condannazione, il ché spiega l’assenso di una memoria condivisa e di conseguenza l’impossibilità di una riconciliazione nazionale in Italia. V. Cento Bull, 2007.

[5] Serafini, 2006.

[6] Segnaliamo tra questi: Manzini, 1978; Agostini, 1980; Mazzocchi, 1994.

[7] Peci, 1983; Franceschini, 1988; Curcio, 1993; Moretti, 1994. Per una bibliografia completa, veda la bibliografia pubblicata nella tesi di dottorato di Tiziana Serafini.


Citer cet article :

Andrea Hajek, « Brigatisti di carta : realtà e finzione nella P38,
“il romanzo delle Brigate Rosse” », colloque Littérature et "temps des révoltes" (Italie, 1967-1980), 27, 28 et 29 novembre 2009, Lyon, ENS LSH, 2009, http://colloque-temps-revoltes.ens-lsh.fr/spip.php?article150